mercoledì 5 novembre 2008

Usanzie / Tradizioni



Nella foto: alcuni componenti del GRUPPO COSTUMI BISIACHI DI TURRIACO sulle rive dell'Isonzo

La Bisiacarìa, anche per quanto riguarda i riti e le tradizioni popolari, si presenta come una zona affatto particolare, dove potevano convivere usanze dalle più diverse provenienze, dalla “Bella Stella” dell’Epifania o il “Battere Marzo”, tipiche dei paesi dell’arco alpino, ad altre provenienti dal mondo veneziano, ladino, slavo.


BATAR MARZ


Dal libro della Ciceri: “L’antico calendario romano iniziava col mese di marzo, dedicato a Mars che, prima di essere dio della guerra, fu dio della vegetazione. In quel mese si accendeva il “fuoco nuovo” nelle case e nel tempio di Vesta. Era il tempo dell’espulsione della vegetazione vecchia (Mamurio Veturio), della festa di Anna Perenne (pre-annos) e durante i Liberalia i giovani assumevano la toga virile. La cacciata di Mamurio Veturio è richiamata, in culture folcloriche meno antiche, dalla cacciata della Morte (nel mondo slavo) e da contese rituali tra Inverno e Primavera”. A questi riti, certamente si ricollega un’antica usanza, ricordata da Tullio Benfatto, che raccontava come, fino ai primi anni Cinquanta del secolo scorso, vi fosse ancora a Redipuglia l’usanza di celebrare l’arrivo della primavera, della nascita della vegetazione e dei raccolti, appendendo alle pergole d’uva fuori casa oggetti d’alluminio, “tochi de banda”, e percuotendoli per tutta la sera fino all’una di notte. I più vecchi, senza i giovani, facevano a volte anche il giro del paese armati di pezzi di latta, pentole ed altro che anche in questo caso venivano percossi fortemente. Tutto fa pensare che si tratti, dunque, degli ultimi ormai annacquati ricordi di quel “battere marzo” conosciuto soprattutto nei paesi dell’arco alpino dalla Carnia fino in Trentino Alto Adige.

MANDAR IN AVRIL

Il pesce d'aprile viene chiamato in Bisiacarìa "mandar in avril, mandar zercar avril, far avril". Di solito ci si prendeva gioco dei bambini più ingenui chiedendo loro di fare azioni insensate. Ecco uno scherzo riportato nel grande vocabolario fraseologico bisiàc: "Va in spiziarìa a ciórme dó soldi de samenze de fil turchìn! (Va' in farmacia a comperarmi due soldi di semenze di filo turchino!)" oppure "Vame cior un quart de chilo de onbra de canpanil (Vai a comperarmi un quarto di chilo d'ombra di campanile)".


AL MAZO


L’uso d’innalzare nel mese di maggio, da parte dei giovani del luogo, il lungo fusto di un albero, chiamato generalmente “Maj”, appositamente tagliato al centro della piazza, ha caratterizzato per secoli i paesi di tutta la regione. Questa antica usanza, che sopravvive ancora in molti paesi sia friulani che sloveni, sembrava estranea alla Bisiacarìa. In realtà esiste un minimo accenno nel noto libro della Ciceri dove si fa riferimento a San Canzian d’Isonzo e Staranzano (due nomi persi però in mezzo a molti altri e forse per questo sfuggiti finora all’attenzione degli studiosi locali). Nei primi anni Novanta del secolo scorso, però, Beniamino Braida, nel corso di una conversazione con Ivan Crico, ricordò di aver visto ancora quello che, in dialetto bisiàc, era chiamato “mazo”, cioè un “talpon, alt zirca vinti metri, che al vignìa cincinà cun fior e ’l vignìa mitù ta’l mezo de la piaza dei zòvini de la vila par farse védar de le garzone” (“un pioppo, alto circa venti metri, decorato con addobbi floreali, che veniva piantato al centro della piazza dai giovani del paese per mettersi in mostra davanti alle ragazze”). Braida riferì anche che quella, come altre tradizioni locali, venne presto dimenticata dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando si tendeva nei nostri paesi a disfarsi di ogni legame con un mondo passato che era visto soprattutto come sinonimo di miseria e mancanza di cibo più che come custode di riti e sapienze millenarie.


SDRONDENADE

Era al zinque de agost del milotozentononantaquatro co, su "Pagine Friulane", al studioso Peteani al scrivéa: "L'uso di suonar le cioche ai vedovi che si rimaritano si riscontra in tutta Italia e fuori sotto differnti nomi, come: Sdrondenade (Friuli) Batterella (Veneto) Bacillata (Lunigiana) Facioreso (Novi) Ciabra (Piemonte) Scampanata dei vedovi (Toscana) Scampanacciata (Roma) Suonar le tenebre (Genova) Tenghiglien (Ornavasso) Tucca (Pesaro) Chiarivari ( Francia) Cencerrada (Spagna). Su quel di Monfalcone i più audaci arrischiano persino di pigliare i due sposi vedovi (se sono in età matura) quando escono di chiesa e li depongono a viva forza in una carriola e fanno con essi qualche piccola corsa, accompagnati dalle "sdrondenade", finchè le due vittime si liberano da quel poco gradito e meno comodo veicolo. A Ruda, gli sposi vedovi devono fare un giro di danza attorno il pozzo che si trova di fianco la chiesa, prima di entrare nella medesima".


VINCUL

L'incubo, come nel friulano, è chiamato in Bisiacarìa "vìncul" o "vèncul": "Quando che vien al vìncul, bisogna pissar ta la fiasca e taponarla subito. De sicur la matina dopo riva la striga a pregar de destaponarla che senò éla la móre".


DENTI

’Na volta i credeva che co un putel ghe vien fóra prima i denti de sóra che quei de soto, al móre prest e che quei denti xe le broche che le sèra la cassa.
Co inveze ai putei ghe cascava un dent se lo meteva sot al cussìn che sarìe vignù al sorzét a ciorlo. Ta’l doman al catava de sot un soldìn.

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