martedì 4 novembre 2008

Bisiac: le prime tistimognanze del vocàbul / Bisiaco: le prime testimonianze del termine

COS CHE CATARÉ
INDICE:



1) BREVE DISCORSO SULLA PAROLA "BISIAC" DI SILVIO DOMINI E ALDO MINIUSSI
2) SU ALCUNE SCONOSCIUTE ATTESTAZIONI OTTOCENTESCHE DEL TERMINE "BISIAC"
a cura di Ivan Crico e Bruno Scaramuzza




Breve discorso sulla parola bisiac
di Silvio Domini e Aldo Miniussi



Il termine bisiac ed il suo più recente derivato Bisiacaria (il secondo come denominazione alternativa del Territorio storico monfalconese) stanno conoscendo al presente una diffusione ed un uso per così dire ufficializzato, quali difficilmente si potevano prevedere fino a vent'anni fa. Prima, l'esistenza della parola bisiac era relegata nell'ambito ristretto dell'impiego gergale, sporadico, solo occasionalmente affrancata dalla citazione negli scritti di qualche dialettologo o dall'inclusione nei lavori di qualche compilatore di repertori lessicali. Le ragioni del sorprendente recupero sono probabilmente più d'una; ma non è nostra intenzione di occuparcene in queste pagine. Qui tratteremo solamente del significato della parola bisiac, della sua possibile matrice originale e della congruenza - incongruenza del vocabolo nella funzione di appellativo del nostro vernacolo e della nostra gente. Abbiamo cercato di ricostruire i tratti e la vita di questa parola sviluppando, dopo averle filtrate attraverso un'attenta rilettura ed opportune comparazioni, le scarne notizie che abbiamo trovato sparse in memorie e vocabolari e le testimonianze orali dei due gruppi etnico-linguistici confinanti con il Territorio. Aggiungiamo subito che le note scritte esaminate - scarne, come s'è detto, e non sempre univoche - si trovano esclusivamente in pubblicazioni degli ultimi cent'anni. I travasi che di tali notizie sono stati fatti finora da una pubblicazione all'altra, anziché portare ad un arricchirnento di conoscenza, hanno conseguito solo l'insoddisfacente risultato di fossilizzare significanze acritiche del termine.
Durante le nostre soste negli archivi monfalconesi, goriziani, veneziani, udinesi, triestini, ecc., mai ci è capitato d'incontrare il termine bisiac in atti manoscritti o a stampa dei periodi patriarcale, veneziano e dell'Ottocento. Ciò vuol dire che il vocabolo (almeno per quanto riguarda l'area del Territorio), se ha avuto una sua antica circolazione, questa è stata solo orale. E vuol dire che il vocabolo è arrivato a noi da molto di fuori. Un gruppo non si attribuisce nomignoli da se stesso, sono sempre altri a chiamarlo in un certo modo, altri che trovano spunto per creare gli appellativi o dalla particolarità della parlata, o dalla singolarità dei costumi, o dalle caratteristiche etniche, o dalle vicende storiche proprie del gruppo. Per la gente del Territorio, gli "altri" più vicini sono i Friulani isontini, gli Sloveni del Carso monfalconese-goriziano e, se vogliamo, i Triestini.
Si esclude che l'appellativo ci sia stato imposto dai Friulani isontini in quanto, per indicare gli abitanti del Territorio e la loro parlata, essi hanno usato da tempo immemorabile le locuzioni chei dal Teritòri (quelli del Territorio), chei dal "digo", chei dal "fago" (quelli che dicono digo e fago per "dico" e "faccio") e chei des bandis di Mofalcon o chei di Mofalcon (quelli delle parti di Monfalcone). Il primo vocabolario friulano di Jacopo Pirona (1) non riporta il vocabolo e ciò dimostra che questa parola non era conosciuta dai Friulani dell'Ottocento; quindi si accresce la attendibilità della tradizione orale friulana, che ci identificava, come in parte ci identifica ancora, con le espressioni sopra riportate. Il termine non compare nemmeno nel vocabolario scolastico friulano-italiano del Lazzarini (2). Nel nuovo Pirona (13) la voce c'è ed è registrata in questa forma: BISIAC agg. e sm. L'abitante del Territorio fra il basso Isonzo e il Timavo. Anche del dialetto, che è una varietà del veneto. L'inserimento della voce nell'edizione aggiornata del Pirona lascia intendere un'acquisizione fresca del vocabolo da parte del friulano, presa dal di fuori e nell'accezione limitata all'identificazione esistenziale della gente del Territorio e, in subordine, a quella del suo dialetto.
Analogo discorso si può fare per quanto riguarda i vicini Triestini. Nessuno dei vecchi vocabolari triestini riporta la voce bisiac, non il Kosovitz (4) e non il primo Rosamani (Rosrnan) (5). Il Rosamani l'ha inclusa solamente nella riedizione recentissima del suo vocabolario giuliano (6), ma di ciò parleremo più avanti. L'assenza del termine bisiac nei vecchi vocabolari triestini prova che la parlata della città ignorava, a tutto l'ottocento e fino ai primi decenni del Novecento, questa parola.
Nemmeno presso i vicini Sloveni del Carso rnonfalconese si è mai riscontrata una dimestichezza con il termine in questione, mentre invece è sempre stato comune presso di loro un altro termine con cui nominano la gente del Territorio, Lahi, che alla lettera significa Italiani, ma con una sfumatura di senso diversificante rispetto gli Italiani delle altre regioni. Gli Sloveni del Carso, peraltro, hanno sempre chiamato Furlani gli abitanti friulani della riva destra dell'Isonzo e della città di Gorizia (7). Nel vocabolario di G. Androvič (8) si trova la voce beziak, a fronte della quale il compilatore ha scritto: […] sloveno del confine stir. - croato o ital. - sloveno. Si ha motivo di credere che l'autore si riferisse al vecchio confine politico-amministrativo italo-sloveno (siamo nel '36), non a quello veramente linguistico; e questa interpretazione è suffragata dalla effettiva esistenza di una realtà etnico-linguistica istro-croata, che ha a che vedere col vocabolo di cui trattiamo e della quale diremo appresso.
Ma vediamo di esaminare il vocabolo più da vicino.
Negli anni 1920 - 1930 è stata montata la favoletta del bis aquae matrice di bisiac (come quella di Turris aquae per il nome Turriaco), etimologie suggestive, ma inventate di sana pianta, che però si inquadravano bene nella retorica del ventennio, allorchè la ricerca di romanità ad ogni costo poteva forzare la mano anche all'uomo colto. Questo bis aquae non ha fondatezza né etimologica né storica; primo, perché non c'è traccia di tale locuzione in nessun autore classico o rinascimentale o latinista recenziore (e non sono stati pochi a interessarsi dell'arco Timavo - Isonzo) e quindi non si sa da quale testo possa essere stata estrapolata; secondo, perché non si capisce quale territorio si sarebbe dovuto comprendere fra le "due acque", visto che sono scientificamente provate le innumeri migrazioni dell'Isonzo attraverso alvei anche pedecarsici e con esse le modificazioni della terra dei nostri insediamenti.
Negli stessi anni si è affacciato un'altra fantasiosa ipotesi di etimo e cioè che l'origine del termine bisiac si dovesse ricercare nell'italiano "bislacco", a sua volta derivato da un latino bis laxus. Osserviamo che l'origine di "bislacco" è tuttora non accertata: non è provato che derivi da bis laxus e c'è chi addirittura lo fa provenire da bezjak (9.) Nel D.E.I. (10) l'etimologia è taciuta. Il Tommaseo nemmeno riporta la voce. Il Battaglia (11) non mette etimo. E' possibile che "bislacco" sia solo una voce espressiva e che sia vano ricercare avventure di parentela semantica tra questo termine e il bisiac di cui discorriamo.
La matrice più probabile della parola bisiac è invece da riconoscere nel vocabolo sloveno bezjak (= profugo). Questo beziak deriverebbe dall'incontro di un vecchissimo verbo nordico, baegia, (dal quale pare provenga pure il verbo sloveno bežàti = scappare, fuggire) con il suffisso jak (= gruppo di persone, gente; p. es. poliak, slovak, ecc.), come ci fa sapere la prof. M. Gušič, direttrice del Museo Etnografico di Zagabria, in un suo studio recensito da V. Čulinovič - Kostantinovič sulla rivista “Kaj” di Zagabria (n. 7/8 - 1969) e citato da J. Baukart nel “Delo” del 7.2.1970: il tutto ripreso dal “Novi List” dell'11.4.1974 sotto il titolo “Chi sono i bisiachi ?". La prof. Gušič non si sofferma tanto ad analizzare l'evoluzione semantica del termine (desumiamo da quanto è stato scritto nell'articolo apparso sul "NoviList"), quanto a correlare il significato del vocabolo a fatti storici che ne avrebbero determinato la nascita e la significazione. Così apprendiamo che gli Sloveni, al tempo della loro avanzata verso le terre orientali d'Italia (secc. VII-VIII), chiamavano Bezjaki le popolazioni latine che si ritiravano davanti all’invasione e che gran parte di questi fuggiaschi si fermò nelle terre protette a quel tempo dai Bizantini, nella zona che oggi segna il confine tra gli Sloveni e i Croati, dove ancora sussisterebbero usi, costumi e resti di linguaggio che avevano caratterizzato quei "profughi". La zona è ancor oggi chiamata col vocabolo originale, tanto che Bezjak resiste come toponimo attuale: Bezjaki di Sopra e di Sotto. La popolazione di quei luoghi è detta ancora bezjaka (sono i discendenti degli abitanti della Beziathia, pure ricordata da Marin Sanudo nei "Diari", 9.X.1526 (12). Il nome bezjak, a quei tempi, aveva dunque lo stesso significato dell'odierna parola slovena begunec, cioè esule. Non è detto che di fronte all'invasione slovena le popolazioni di sudditanza latina si siano ritirate solo lungo un tratto del confine dell'attuale Croazia; senza dubbio una parte sì è rifugiata all'interno dell'Istria (e c'è la testimonianza: si veda appresso quanto diremo del Rosamani) ed altra si vuole che sia giunta molto più ad occidente (e sarebbero i bisiachi del nostro Territorio, secondo la tesi slava). Lo storico potrà dirci se, per quanto riguarda le vicende storiche delle terre e degli abitanti isontini, sia da accogliere o da respingere l'esposizione dei fatti proposta dagli studiosi slavi. Una analogia c'è. Appunto l'analogia tra la situazione storica in cui si vennero a trovare le nostre genti a contatto con le aree d'influenza bizantina e del Dogado veneziano, lungo i cordoni lagunari, e le vicissitudini descritte dalla fonte slava può avere giustificato, attraverso i secoli, l'estensione orale del terrnine bìsiac (bezjak) nel suo primo significato di "fuggiasco, fuggitivo", fino a comprendervi anche le popolazioni del Territorio. I "veri" bisiachi (si vedano i cognomi Biziach, Beziach, Beziak, Bisíac, Viziak, Wissiak, ecc., che possiamo trovare così a Trieste come a Lubiana) sarebbero pertanto le popolazioni di talune località istriane e sloveno-croate, presso le quali si è generata ab antiquo una realtà mistilingue tuttora rilevabile, che starebbe a provare anche il successivo significato acquisito dalla parola bezjak, e cioè quello di "parlante male, stolto". Ciò è spiegabilissimo col fatto che una popolazione che non capisce il linguaggio di un'altra ad essa contermine ha sempre teso a chiamarla "barbara", col senso che a questo aggettivo e sostantivo veniva dato da Greci e Latini, cioè "rozzo e impacciato nel parlare". Lo Štrekelj (13), con stretta coerenza al signifícato del termine, considerava bisiachi soltanto gli abitanti di San Martino del Carso, dove peraltro si sono meglio verificate le condizioni storiche - fuga dal Vicentino e incontro con altre popolazioni - facenti analogia con quanto detto dei bisiachi del confine sloveno-croato. Sebbene meno discorsivamente (e meno criticamente) della Gušič, alla individuazione della medesima matrice lo Štrekelj era pervenuto cent'anni or sono (beziak = Mann der italienisch - slovenischen Sprachgrenze, uomo del confine linguistico italo - sloveno) e per questo fatto ci pare di dover indicare quello studioso come il primo che abbia riportato per iscritto se non proprio il vocabolo bisiac, almeno il suo presunto progenitore bezjak.
Alcune delle notazioni storiche fatte risaltare dalla Gušič trovano riscontro, sebbene non in modo esauriente, anche nel vocabolario giuliano del Rosamani, dove si spiega la voce besiaco con queste proposizioni: "Nella campagna intorno a Pinguente d'Istria, dai Beziaci si parla un dialetto misto che sotto le contraffazioni slovene, scrive il Vidossi [... ], rivela il fondo croato. Gli Slavi chiaman besiachi (beziak) quelli che parlano dialetti misti. Dall'it. bislacco secondo lo Štrekelj, dal verbo slavo bézati secondo M. G. Bartoli, che dà alla voce besiaco il significato di fuggiasco". Osserviamo per inciso che lo Štrekelj, nell'opera già citata, non fornisce etimi di alcuna sorta; e sottolineiamo la corretta spiegazione del Bartoli. Il Pinguentini (14) registra la voce bisiaco o, per apocope, bisiac, ma raffazzonando le notizie raccolte nelle pubblicazioni che abbiamo già avuto modo di citare, stila una spiegazione contradditoria, insufficiente e per taluni aspetti arbitraria. Menziona lo Štrekelj, come proponente di una derivazione di bezjak dall'ítaliano "bislacco", insieme con lo Skok (15), che asserisce esattamente l'opposto. Inoltre, e non si sa con quale congruenza, fa di bisiac un aggettivo friulano, da cui sarebbero sorti i nomignoli poi trasformatisi nei cognomi Bisiach, Bisacco, Bisiaco, Basiacco. E li classifica come "nostrali" anche quando sono scritti con grafia straniera.
Il Bezlaj (16) sintetizza al massimo le spiegazioni del termine (bezjak); in compenso offre molti appigli per un proponibile discorso sulla sua semantica, come, del resto e ancor meglio, fa la già citata Enciclopedia Jugoslava.
Tra i cultori nostrani, il primo che si sia veramente interessato a questi problemi è stato il Marcon (17) (al quale quasi certamente si deve attribuire la coniazione del termine Bisiacaria). Egli afferma che "sul significato e l'etimo del termine "bisiach" (sic !) si è tanto discusso e tanto poco concluso; resta oscuro e tutt'al più al toscano "bislacco", se eccettuansi derivazioni esotiche". Ma il Marcon non poteva conoscere gli ultimi studi dei cultori slavi. Eppoi egli avanza dei singolari "distinguo" nella parlata bisiaca, tra la città e gli altri luoghi abitati del Territorio, che sono smentiti da una realtà della quale abbiamo avuto ampia cognizione attraverso i nostri vent'anni di ricerche. Se ne dovrebbe fare un discorso a parte e qui non è il caso.
A questo punto ci pare di poter trarre le seguenti conclusioni:
a) il vocabolo bisiac, per quanto ci riguarda, non è stato inventato dai nostri vicini di casa Friulani, Sloveni carsici e Triestini;
b) non è stato coniato dagli abitanti veneti del Territorio;
e) non si trova scritto in alcun documento antico e meno antico, classico o volgare, anteriore alla fine dell'Ottocento;
d) anche se la sua data di nascita si perde nei secoli l'uso di esso come denominazione del nostro dialetto e della' nostra gente è recente;
e) il suo etimo va ricercato probabilmente nei linguaggi slavi;
f) il suo significato antico era quello di "profugo, fuggiasco, fuggitivo".
A mo' di chiusa soggiungiamo che a noi quest'appellativo sta bene così com'è; non vi troviamo ombra di detrazione civile né sudditanze di alcun genere. E ci va bene anche il nome Bisiacaria, che, al di sopra delle artificiose divisioni burocratico-amministrative, unisce con legami infrazionabili tutti coloro che si riconoscono nella gente del Territorio.

Note:
1) Jacopo Pirona, Vocabolario friulano, pubblicato per cura dei dott. Giulio Andrea Pirona, Venezia, 1871.
2) Alfredo Lazzarini, Vocabolario scolastico friulano - italiano, Udine, 1930.
3) Jacopo Pirona, Il nuovo Pírona, vocabolario friulano curato e aggiornato da E. Carletti e G. B. Corgnali, Udine, I fasc. 1928.
4) Ernesto Kosovitz, Dizionario del dialetto triestino e della lingua italiana, Trieste I ed. 1877; II riveduta e ampliata dall’autore, 1889; III, anastatica, con introduzione di M. Doria, 1968.
5) Enrico Rosman, Vocabolarietto Veneto-Giuliano, Roma, 1922.
6) Enrico Rosamani, Vocabolario giuliano, Bologna, 1958.
7) Anche lo Czoering (Das Land Görz und Gadisca, Vienna 1873) riportando il censimento del 1857 chiarifica che i 47.841 Friulani della contea "sono insediati nella parte occidentale tra l'isonzo medio e inferiore e la frontiera italiana" e che i 15.134 italiani "formano una Popolazione compatta solo nelle contrade costiere già veneziane", intendendo con la parola "Italiani" i parlanti veneto del Territorio e di Grado. (Pagg. 59 - 60)
8) G. Androvič, Dizionario delle lingue italiana e slovena, Milano, 1936.
9) Petar Skok, Naša pomorska i ribarska terminologija na Jadranu. Spalato, 1933 - “Zacijelo su proširli Mlečani po Italiji i riječ bislacco, koja dolazi òd naše bezjak, (i Veneziani hanno diffuso in tutta Italia la parola bislacco, la quale proviene dal nostro beziak, "stolto").
10) Carlo Battisti - Giovanni Alessio, Dizionario Etimologico Italiano, Firenze 1952.
11) Salvatore Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, Torino, 1962.
12) Encikiopedija Jugoslavije, Zagabria, 1955 (voce ßeziací-ßezjaki),
13) Karl Štrekelj, Morphologie des Görzer Mittelkarstdiatektes, Vienna, 1887 – "Šent Martin, wo die Karst - Bezjaki wohnen,…" (San Martino, dove abitano i Beziaki del Carso, .... ).
14) Gianni Pinguentini, Dizionario storico - etimologico - fraseologico del dialetto triestino, Trieste, 1954.
15) Vedi nota n. 9.
16) France Bezlaj, Etimološki Slovar Slovenskega Jezika, Lubiana, 1976.
17) Rico Marcon, Mofalcon mio, Gorizia, s. d., ma prob. anni '50.

Da "IL TERRITORIO" n° 1, 1978, RIVISTA DEL CONSORZIO CULTURALE
DEL MONFALCONESE DI RONCHI DEI LEGIONARI

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SU ALCUNE SCONOSCIUTE ATTESTAZIONI OTTOCENTESCHE DEL TERMINE "BISIAC"
a cura di Ivan Crico e Bruno Scaramuzza


Finora l'attestazione più antica conosciuta del termine "bisiàc" era quella riportata nel 1866, nell’introduzione al lunario “Il Contadinel”, da Giuseppe Ferdinando Della Torre, illuminato possidente e farmacista di Romans d’Isonzo. Ne dava notizia, in un interessante articolo apparso nel 1993 sulla rivista “Il Territorio”, Piero Dessenibus:

Po si la fè che han fatt ben chei del Teritori a scomenzà a alzà la vos onde par lung e par traviars si slàrgi se no altri l’idee de’irigazion. Us la doi pur, mi par di sintì il signor, us la doi pur! Dopraile mo invece di lassale scori iù infrutuose, e tropis voltis anchie danose a piàrdisi nei abìss del mar!.. Ce’ pretese minchione, che nus la vevi di metti jù propri in bochie, e quand che nus par, senze che si vevi di alzà un braz, nè di movi une giambe! Ma bravs i Bisïàcs! E j’àuguri di cur ogni favor onde une volte si scomènzi a profità des risorsis, che puèdin un mond zovà alla triste condizion des nestris campagnis.

Ora, grazie alle segnalazioni dello studioso Bruno Scaramuzza di Grado, possiamo andare ancora di qualche anno indietro nel tempo. Non si tratta di attestazioni del tutto inedite ma, finora, erano sfuggite all'attenzione dei nostri studiosi forse anche perché inserite in testi non facilmente accessibili o che non sempre parlavano direttamente del nostro territorio. Negli "ATTI DEL CONGRESSO INTERNAZIONALE DI LINGUISTICA E TRADIZIONI POPOLARI, a cura della Societa’ Filologica Friulana, Gorizia-Udine-Tolmezzo 1969, pp. 171-179, nel saggio intitolato il "IL FRIULI GORIZIANO NELLE OPERE DI STEFAN KOCIANClC" il dott. BRANKO MARUSIC ricordò la figura di questo studioso, "professore presso il Seminario Teologico Centrale di Gorizia, noto nel mondo scientifico e tuttora riconosciuto anzitutto come valevole linguista e storico. Le opere di Kociancic sono ritenute molto varie, per quel che riguarda la tematica. Sebbene il più delle sue opere trattino la linguistica o per meglio dire la lessicografia e storia locale, ci sono note opere sue edite ed inedite nel campo della Sacra Scrittura, moralistica, dell'etnologia, biblioteconomia; ricco è il suo contributo come traduttore (traduzione dall'italiano), scrisse poesie in ebraico ed altre lingue. Non dobbiamo dimenticare infine i suoi tentativi pubblicistici nella stampa slovena di allora.
La ricca personalità del Kocianc'ic offre molti spunti a linguisti, storici, teologi, etnologi per studi specifici. A me sia consentito trattare dell'opera del Kociancic, solo quanto riguarda la sua conoscenza del Friuli Goriziano e dei Friulani, di cui parlano alcuni suoi articoli apparsi nella stampa scientifica del tempo, non basati essi però su suoi studi scientifici ma su conoscenze personali del mondo friulano che ebbe modo di conoscere più da vicino dal 1830 in poi".
Nel 1852, nella Rivista Arkiv za povjestnicu jugoslavensku edita dalla Società Druztvo za jugoslavensku povjestnicu i starine di Zagabria, nel capitolo XI di un suo saggio questo studioso parlò della provenienza di nomi di luoghi in Friuli e spiega in breve le origini di una certa lingua « bisiacha » nel territorio da Duino a Gradisca, tra il Carso e l'Isonzo. Spiega che le popolazioni dei territori appartenuti una volta alla Repubblica Veneziana erano nell'anno 1848 seguaci della « cosa italiana » e contrari all'Austria, mentre « tutti altri nostri Friulani » erano fedeli all'impero austriaco.
L'anno seguente, il Kociancic pubblicò pure un lungo articolo « Zgodovinske drobtinice pò Goriskem nabrane v letu 1853» (17) (Briciole storiche raccolte nel Goriziano nel 1853). Il lungo articolo è una vera e propria storia topografica del territorio goriziano enumerando diversi dati storici dei vari luoghi: Aquileia, Grado, Barbana, Gradisca d'Isonzo, Farra, Mossa, Cormons, Lucinico, Pertèole, Fratta, Brazzano, Aiello, Chiopris, Saciletto, Romans d'Isonzo, Villesse, Fiumicello, Ronchi dei Legionari, Monfalcone. Ai dati storici sui menzionati luoghi fa seguito una descrizione più generale del Friuli. Il Kociancic nota che in tutti i luoghi enumerati vivono i Friulani (« laski, vlaski ali furlanski prebivalci ») con eccezione per il territorio tra la spon¬da sinistra dell'Isonzo ed il Carso fino a Gradisca, dove vivono gli Italiani, circa 12.000 anime, che si chiamavano « Bisiacchi ».
Per concludere, riportiamo anche alcune interessanti citazioni contenute in vari testi, scritte dal Prof. Sebastiano Scaramuzza (Grado, 1829-Vicenza, 1913) che fanno riferimento anche alla nostra parlata inserendola tra le parlate storiche di tipo veneto lungo la fascia costiera adriatica.
Ne Le Vicende e le Conclusioni del mio studio giovanile della Parlata Gradese, Udine 1894, scriveva a p. 17: "Nell'autunno della mia quarta ginnasiale (1845 circa) a qual punto mi trovavo io co' miei studi gradensi ?.... Ecco : Io aveva già conosciuto parecchi dialetti Veneti : il dialetto di Pirano, d'Isola d'Istria, di Capo d'Istria, il dialetto del Territorio di Monf'alcone, il dialetto di Venezia, le parlate dei Chioggiotti, dei Caorlotti, dei Buranelli e di altre popolazioni venete". A p. 40.invece, troviamo: "..Isola dei Busiari…..Bisiachi".
Per finire nel testo Italicae res in Austria, Vicenza 1895-1896, a p. 174, scrisse che nel 1865 "era presente lì un eccellente prete bisiaco D.D.B. (Don Domenico Braida di San Canziano) .

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