domenica 25 gennaio 2009
Bisiacaria 2009, la rivista dell'ACB
Acb, presentata la 26ª edizione di Bisiacaria
da "Il Messaggero Veneto" del 13 gennaio 2009
E’ arrivato alla 26ª edizione "Bisiacaria", numero unico edito dall’Associazione culturale bisiaca, presentato al caffè Inglese di Monfalcone. Presenti all’incontro, oltre a un folto e attento pubblico, la presidente dell’associazione Acb, Marina Dorsi, il direttore responsabile, Fabio Del Bello, Fabio Favretto, curatore delle manifestazioni del caffè Inglese, e il vice-sindaco del Comune di Monfalcone, Silvia Altran, che ha valutato positivamente l’attività dell’associazione bisiaca e la realizzazione di questo volume, che si inserisce nell’onda delle ricorrenze del centenario dello stabilimento navalmeccanico di Panzano. Ben 168 le pagine del volume edizione 2009, che si dividono tra saggi storici, ricerche, memorie e un bel corredo iconografico, con scritti in bisiaco in prosa e in versi. Hanno attivamente partecipato alla realizzazione del volume, pubblicato grazie ai contributi della Regione, Carlo D’Agostino, Rino Romano, Alessandro Turrini, Andrea Bruciati, Fabio Favretto, Fabio Del Bello, Massimo Palmieri, Marina Righi, Marina Dorsi, Marco Tardivo, Mario Furlan, Ivan Crico, Amerigo Visintini, Livio Glavich, Pino Scarel, Marina Zucco, Cesare Zorzin e Mauro Casasola. Gli interventi parlano di storia dell’aeronautica, della costruzione dei sommergibili, del cantiere navale ricordando con solidarietà gli operai della Grande fabbrica monfalconese nei momenti difficili della crisi negli anni ’80, delle memorie recuperate dagli studenti delle scuole superiori della città. Viene proposta anche la rilettura del romanzo “La tuta gialla”, di Nordio Zorzenon, edita nel 1971, e vari testi in bisiaco. Correda il volume l’indice analitico di “Bisiacaria” dal 1983 al 2008 che, attraverso macro-aree tematiche, permetterà di ricercare autore, titolo, pagina e annata di ogni articolo pubblicato in 25 anni; un modo per rendere anche merito a tutti i collaboratori che in questo lungo periodo hanno contribuito al miglioramento della qualità della rivista. La copertina riproduce il Cantiere navale di Monfalcone nel 1955, acquerello dell’architetto triestino Mario Zocconi, gentilmente concesso dalla famiglia.
lunedì 19 gennaio 2009
Importante riconoscimento a Gabriele Benfatto dell'Agriturismo "Ai Trosi"
A Fogliano due bovine di una razza estinta
LUCA PERRINO
il Piccolo — 18 gennaio 2009
pagina 09 sezione: Monfalcone
FOGLIANO - Un importante riconoscimento è andato in questi giorni a Gabriele Benfatto, titolare dell'omonima azienda agricola di Redipuglia, giunto dalla rivista «Il Diario», che lo ha inserito tra i 15 personaggi che si sono maggiormente distinti in regione nel 2008, assieme a nomi come la campionessa olimpionica Chiara Cainero, l'alpinista Nives Meroi o il presidente della giunta regionale Renzo Tondo. Gabriele Benfatto si è distinto per essere tra i pochissimi allevatori che si battono per la salvaguardia di una ormai sempre più rara razza bovina, ovvero la Pezzata rossa friulana. Nella sua azienda, continuando l'opera del padre Tullio, esistono difatti ancora due discendenti di mucche rosse friulane da cui sono nati di recente due splendidi gemelli maschi, che hanno fatto rinascere, in molti, la speranza di salvare questa specie. Al giorno d'oggi non è ovviamente possibile giungere al traguardo del 100 % della purezza, visto che la specie, di fatto, è stata dichiarata estinta nel 1986, ma quando si arriverà a raggiungere un numero sufficiente di bestiame con una buona percentuale di friulanità, una deliberazione ufficiale potrà definire puri questi capi e si potrà, così, ristabilire l'esistenza della razza. Per molti anni la famiglia Benfatto si è battuta nell'indifferenza generale per salvaguardare questa nostra razza autoctona, anche quando le si preferivano altre razze più produttive, come quelle olandesi. Oggi, per fortuna, si ricomincia a riconoscere il valore del nostro patrimonio ambientale e culturale. Dopo questo importante riconoscimento, Gabriele Benfatto ha pensato di proporre in futuro alle scuole di offrire ai bambini della regione la possibilità, davvero unica, di vedere con i loro occhi quelle stesse mucche con cui hanno lavorato un tempo i loro nonni e bisnonni.
sabato 17 gennaio 2009
Associazione Culturale Bisiaca
Oggi, sabato 17 gennaio 2009, L'Associazione Culturale Bisiaca riunisce tutti i soci nell'annuale Assemblea.
Fondata dal poeta e studioso Silvio Domini assieme a molti altri valenti studiosi e collaboratori, l'ACB è l'associazione più antica, a livello regionale, che si prefigge per statuto di salvaguardare una delle parlate di tipo veneto della regione.
Nè a Trieste, nè a Grado, nè nel pordenonese, almeno fino a qualche anno fa, è mai esistito qualcosa di simile.
Nello Statuto, fondamentale per comprendere gli ideali più profondi che stanno alla base di questa importante associazione, nel primo punto si afferma difatti che l'associazione come scopo primario si prefigge "la salvaguardia e l’uso del dialetto arcaico – veneto denominato “Bisiàc”.
L'associazione attualmente è diretta dalla studiosa Marina Dorsi.
Per ulteriori informazioni http: www.acbisiaca.it
Fondata dal poeta e studioso Silvio Domini assieme a molti altri valenti studiosi e collaboratori, l'ACB è l'associazione più antica, a livello regionale, che si prefigge per statuto di salvaguardare una delle parlate di tipo veneto della regione.
Nè a Trieste, nè a Grado, nè nel pordenonese, almeno fino a qualche anno fa, è mai esistito qualcosa di simile.
Nello Statuto, fondamentale per comprendere gli ideali più profondi che stanno alla base di questa importante associazione, nel primo punto si afferma difatti che l'associazione come scopo primario si prefigge "la salvaguardia e l’uso del dialetto arcaico – veneto denominato “Bisiàc”.
L'associazione attualmente è diretta dalla studiosa Marina Dorsi.
Per ulteriori informazioni http: www.acbisiaca.it
giovedì 15 gennaio 2009
Ermanno Gregorin (Armando Brighela), bisiac patoc de Pieris
Xe mort al barba de me mare, nomenà Armando s'anca se 'l sò nome ver iera Ermanno, de la veciona faméa bisiaca dei "Brighela" (Gregorin) de Pieris.
Un omo vivaroso, mai bon de star sentà, nemorà de la natura e senpre in zerca de santonego, sparasi, zoche òro le aque verde del Lisonz.
Viva omo! Chi che 'l t'à cugnussù al cignarà senpre, drento de sì, un bel recordo de ti.
il Piccolo — 14 gennaio 2009
pagina 03 sezione: MONFALCONE
Stava potando un alberello nel suo giardino approfittando della mattinata tiepida, quando all’improvviso, forse a causa di un malore o perché è inciampato, è caduto dalla scala da un’altezza di poco più di un metro, battendo la testa. È morto così, sul colpo, senza la presenza di alcun testimone, Ermanno Gregorin, 93 anni, molto conosciuto a Pieris dove viveva da sempre. Nonostante l’età avanzata, era una persona vivace, sportiva. E in paese tutti gli volevano bene. Secondo una prima ricostruzione, l’incidente sarebbe avvenuto attorno alle 10.30 di ieri. Circa mezz’ora dopo, la moglie Pierina, non vedendo rientrare Ermanno dal giardino, è uscita per controllare e lo ha trovato riverso per terra. La donna ha subito chiamato il 118 ma il pur rapido intervento dei sanitari con un’automedica e un’ambulanza non è servito a nulla. Per l’anziano non c’era più nulla da fare. L’uomo era morto da almeno mezz’ora. Sul posto è arrivata anche una pattuglia dei carabinieri per effettuare una serie di rilievi. Non è stata comunque prevista l’autopsia sul corpo per accertare le cause della morte. Ermanno Gregorin aveva lavorato tutta la vita nel cantiere di Monfalcone con la qualifica di carpentiere in legno. «Era addetto al reparto del varo delle navi quando scendevano ancora dallo scalo – spiega la nipote Federica – e gli piaceva molto il suo lavoro. Ne parlava sempre a casa con la famiglia. Prima di andare in pensione ha insegnato tante cose ai giovani che si accingevano a cominciare questo lavoro». Ermanno Gregorin, era molto noto in paese soprattutto per la sua allegria e giovialità che mostrava sempre a contatto con le persone. Ma conosciuto soprattutto con il soprannome di famiglia, «Brighela». Pochi suoi concittadini, infatti, lo chiamavano con il suo vero nome. «Ha visto due guerre – dice un parente amareggiato – durante la Grande guerra era appena nato, ma la seconda l’aveva vissuta in prima persona partecipando al conflitto. Ha vissuto tutte le brutte storie vissute dalla gente lungo confine con l’ex Iugoslavia. Era un uomo che tutti ammiravano per la sua franchezza e modo di parlare e per il suo sapere». Gregorin era uno sportivo nato e aveva militato per molti anni nella Bocciofila Pieris, vincendo tornei e medaglie nella categoria di singolo e a squadre per la società sia nell’Isontino che in tutta la regione. Negli ultimi tempi, a causa dell’età avanzata, aveva diminuito i suoi impegni. I funerali si svolgeranno domani nella parrocchia di Sant’Andrea a Pieris con partenza alle 13.30 dall’obitorio di San Polo.
CIRO VITIELLO
Un omo vivaroso, mai bon de star sentà, nemorà de la natura e senpre in zerca de santonego, sparasi, zoche òro le aque verde del Lisonz.
Viva omo! Chi che 'l t'à cugnussù al cignarà senpre, drento de sì, un bel recordo de ti.
il Piccolo — 14 gennaio 2009
pagina 03 sezione: MONFALCONE
Stava potando un alberello nel suo giardino approfittando della mattinata tiepida, quando all’improvviso, forse a causa di un malore o perché è inciampato, è caduto dalla scala da un’altezza di poco più di un metro, battendo la testa. È morto così, sul colpo, senza la presenza di alcun testimone, Ermanno Gregorin, 93 anni, molto conosciuto a Pieris dove viveva da sempre. Nonostante l’età avanzata, era una persona vivace, sportiva. E in paese tutti gli volevano bene. Secondo una prima ricostruzione, l’incidente sarebbe avvenuto attorno alle 10.30 di ieri. Circa mezz’ora dopo, la moglie Pierina, non vedendo rientrare Ermanno dal giardino, è uscita per controllare e lo ha trovato riverso per terra. La donna ha subito chiamato il 118 ma il pur rapido intervento dei sanitari con un’automedica e un’ambulanza non è servito a nulla. Per l’anziano non c’era più nulla da fare. L’uomo era morto da almeno mezz’ora. Sul posto è arrivata anche una pattuglia dei carabinieri per effettuare una serie di rilievi. Non è stata comunque prevista l’autopsia sul corpo per accertare le cause della morte. Ermanno Gregorin aveva lavorato tutta la vita nel cantiere di Monfalcone con la qualifica di carpentiere in legno. «Era addetto al reparto del varo delle navi quando scendevano ancora dallo scalo – spiega la nipote Federica – e gli piaceva molto il suo lavoro. Ne parlava sempre a casa con la famiglia. Prima di andare in pensione ha insegnato tante cose ai giovani che si accingevano a cominciare questo lavoro». Ermanno Gregorin, era molto noto in paese soprattutto per la sua allegria e giovialità che mostrava sempre a contatto con le persone. Ma conosciuto soprattutto con il soprannome di famiglia, «Brighela». Pochi suoi concittadini, infatti, lo chiamavano con il suo vero nome. «Ha visto due guerre – dice un parente amareggiato – durante la Grande guerra era appena nato, ma la seconda l’aveva vissuta in prima persona partecipando al conflitto. Ha vissuto tutte le brutte storie vissute dalla gente lungo confine con l’ex Iugoslavia. Era un uomo che tutti ammiravano per la sua franchezza e modo di parlare e per il suo sapere». Gregorin era uno sportivo nato e aveva militato per molti anni nella Bocciofila Pieris, vincendo tornei e medaglie nella categoria di singolo e a squadre per la società sia nell’Isontino che in tutta la regione. Negli ultimi tempi, a causa dell’età avanzata, aveva diminuito i suoi impegni. I funerali si svolgeranno domani nella parrocchia di Sant’Andrea a Pieris con partenza alle 13.30 dall’obitorio di San Polo.
CIRO VITIELLO
domenica 11 gennaio 2009
L'artista e poeta bisiaco Ivan Crico presenta il suo libro in tergestino
Dal Messaggero Veneto — 10 gennaio 2009 pagina 11 sezione: CULTURA - SPETTACOLO
Il Circolo Arci e l’assessorato comunale alla cultura di Cervignano propongono per oggi, alle 18, in Borgo Fornasir, la presentazione di De arzént zù , raccolta di poesie di Ivan Crico, originario di Pieris e che vive a Tapogliano. Introduce Gianfranco Scialino. De arzént zù (Di argento scomparso), edita dall'Istituto giuliano di storia e documentazione di Trieste, è una silloge di liriche scritte in tergestino, cioè l'antico friulano parlato fino agli inizi dell'Ottocento nella città di Trieste e di cui si sono perse le ultimissime tracce - secondo la testimonianza dello studioso Pavle Merkù - agli inizi della prima guerra mondiale. Info: 338-8454492, www.artecorrente.it.Udine.
Il Circolo Arci e l’assessorato comunale alla cultura di Cervignano propongono per oggi, alle 18, in Borgo Fornasir, la presentazione di De arzént zù , raccolta di poesie di Ivan Crico, originario di Pieris e che vive a Tapogliano. Introduce Gianfranco Scialino. De arzént zù (Di argento scomparso), edita dall'Istituto giuliano di storia e documentazione di Trieste, è una silloge di liriche scritte in tergestino, cioè l'antico friulano parlato fino agli inizi dell'Ottocento nella città di Trieste e di cui si sono perse le ultimissime tracce - secondo la testimonianza dello studioso Pavle Merkù - agli inizi della prima guerra mondiale. Info: 338-8454492, www.artecorrente.it.Udine.
venerdì 9 gennaio 2009
Francesco Morena: Sono orgoglioso di essere un bisiac
CALANDARIO DEDICATO AI BIG: QUEST’ANNO IL CALANDARIO VA A UN MONFALCONESE
Il Circolo Brandl ogni anno lo dona ad artisti, musicisti, sportivi …. bisiachi divenuti famosi nel mondo.
TESTIMONIAL PER L’EDIZIONE DELLA TREDICESIMA EDIZIONE L'ARCHITETTO FRANCESCO MORENA.
L'architettura quest'anno ha fatto da sfondo alla consegna del Calandario dei paesi bisiachi al testimonial prescelto. Francesco Morena, monfalconese, architetto di professione e bisiaco nell'anima. "Sono orgoglioso di essere un bisiac - ha affermato Morena - e sono convinto che le tradizioni delle nostre terre siano da portare avanti."
Dopo Fabio Capello, Gino Paoli, Polo Rossi, Elisa, Stefano Zoff, Mauro Pelaschier, Luigi Delneri, Massimo e Adriano Gon, Luca Dordolo, Claudio Tuniz, Giovanni Maier e Claudio Pascoli è stato dunque l'architetto Morena il testimonial individuato dal circolo Brandl, per la consegna del Calandario dei paesi bisiachi 2009, donatogli da una delegazione del circolo stesso, dai due autori, Dorino Fabris e Sergio Gregorin in compagnia di una rappresentante del Gruppo costumi tradizionali bisiachi.
A vedere un bisiaco divenuto famoso nel mondo è stata dunque la sfera dell'architettura, un ambito ancora non toccato dalle consegne del calandario. Morena, nato a Monfalcone e residente a Duino, si è laureato in architettura a Venezia negli anni Ottanta con Aldo Rossi: ha conquistato i Cinesi con il progetto di una nuova città da 100 mila abitanti e non solo. Sta lavorando al restyling di Tong Li, una delle città più antiche e tutelate, patrimonio dell'Unesco dal 2000, situata a mezz'ora da Shangay dove ha uno studio; un altro studio lo ha a Bruxelles senza dimenticare quello di Monfalcone. Si definisce un "architetto di provincia" che ha però vinto concorsi internazionali, ha partecipato alla Biennale dell'Architettura e sta appunto lavorando al piano completo di restauro per una delle più pregiate città storiche cinesi, una sorta di piccola Venezia lacustre: master plan e progettazione della città nuova; elaborazione di una cintura ecologica, basata su un modello di sostenibilità ambientale che qui è novità recente. "Lavoro con un collega cinese, e lavorare in quei luoghi significa entrare in una mentalità diversa, in un modo di interagire lontano dal nostro, ma pur sempre affascinante." Morena ha spiegato come sia diverso lavorare in un ambiente come quello orientale e come, pur trovandosi bene, non dimentichi le sue origini di cui è orgoglioso. Onorato dell'omaggio fattogli ha salutato il gruppo augurando buon lavoro per il futuro.
Elisa Baldo
Il Circolo Brandl ogni anno lo dona ad artisti, musicisti, sportivi …. bisiachi divenuti famosi nel mondo.
TESTIMONIAL PER L’EDIZIONE DELLA TREDICESIMA EDIZIONE L'ARCHITETTO FRANCESCO MORENA.
L'architettura quest'anno ha fatto da sfondo alla consegna del Calandario dei paesi bisiachi al testimonial prescelto. Francesco Morena, monfalconese, architetto di professione e bisiaco nell'anima. "Sono orgoglioso di essere un bisiac - ha affermato Morena - e sono convinto che le tradizioni delle nostre terre siano da portare avanti."
Dopo Fabio Capello, Gino Paoli, Polo Rossi, Elisa, Stefano Zoff, Mauro Pelaschier, Luigi Delneri, Massimo e Adriano Gon, Luca Dordolo, Claudio Tuniz, Giovanni Maier e Claudio Pascoli è stato dunque l'architetto Morena il testimonial individuato dal circolo Brandl, per la consegna del Calandario dei paesi bisiachi 2009, donatogli da una delegazione del circolo stesso, dai due autori, Dorino Fabris e Sergio Gregorin in compagnia di una rappresentante del Gruppo costumi tradizionali bisiachi.
A vedere un bisiaco divenuto famoso nel mondo è stata dunque la sfera dell'architettura, un ambito ancora non toccato dalle consegne del calandario. Morena, nato a Monfalcone e residente a Duino, si è laureato in architettura a Venezia negli anni Ottanta con Aldo Rossi: ha conquistato i Cinesi con il progetto di una nuova città da 100 mila abitanti e non solo. Sta lavorando al restyling di Tong Li, una delle città più antiche e tutelate, patrimonio dell'Unesco dal 2000, situata a mezz'ora da Shangay dove ha uno studio; un altro studio lo ha a Bruxelles senza dimenticare quello di Monfalcone. Si definisce un "architetto di provincia" che ha però vinto concorsi internazionali, ha partecipato alla Biennale dell'Architettura e sta appunto lavorando al piano completo di restauro per una delle più pregiate città storiche cinesi, una sorta di piccola Venezia lacustre: master plan e progettazione della città nuova; elaborazione di una cintura ecologica, basata su un modello di sostenibilità ambientale che qui è novità recente. "Lavoro con un collega cinese, e lavorare in quei luoghi significa entrare in una mentalità diversa, in un modo di interagire lontano dal nostro, ma pur sempre affascinante." Morena ha spiegato come sia diverso lavorare in un ambiente come quello orientale e come, pur trovandosi bene, non dimentichi le sue origini di cui è orgoglioso. Onorato dell'omaggio fattogli ha salutato il gruppo augurando buon lavoro per il futuro.
Elisa Baldo
martedì 6 gennaio 2009
I Camuffo, il più antico cantiere navale del mondo
A Monfalcone, dal 1908, esiste uno dei più importanti stabilmenti internazionali per la produzione di navi industriali e da crociera ma forse pochi sanno che, a pochi chilometri dalla Bisiacaria, a Portogruaro, esiste il più antico cantiere navale del mondo.
Più di cinque secoli di attività cantieristica, tramandata di padre in figlio per diciotto generazioni: questi sono i maestri calafati Camuffo, che vantano di condurre il più antico cantiere navale del mondo. La loro storia ci riporta nel 1438 a Candia, fondamentale porto veneziano nell’isola che da essa prendeva il nome, e ora nota come Creta, che rappresentava la base di tutti i traffici della Serenissima nel Mediterraneo verso l'Oriente e il Mar Nero. In quell’anno a Candia operava come perito stazzatore della Repubblica, un noto proto del luogo conosciuto come Camuffi, in realtà El Ham-Muftì (El-Ca-Muftì), di chiare origini islamiche.
Egli, veniva incaricato di stabilire la capacità di carico (stima) delle diverse navi, da cui poi derivavano le applicazioni della tassa da pagare allo Stato. I Camuffo continuarono attivamente quali squerarioli o calafati; già dal 1530 troviamo documenti che comprovano l'attività di Antonio Camuffo quale armatore e costruttore navale e così anche più tardi per il cugino Francesco Camuffo, spostatosi ad operare a Pesaro. Nel 1840 Francesco Luigi Camuffo, scelse come base per operare Portogruaro, ex dogana della Serenissima, punto di partenza per le attività commerciali del retroterra, che si congiungeva al mare tramite il fiume Lemene. Impiantò una solida attività cantieristica producendo le classiche imbarcazioni tradizionali chioggiotte, adattate alle esigenze del luogo, caratterizzato da canali e lagune, e creò anche una flottiglia di imbarcazioni da lavoro da mettere a noleggio, soprattutto per la raccolta ed il trasporto dello strame; fu anche l’inventore del locale diporto nautico, realizzando e noleggiando gondolini, sandoli, pupparini per il passeggio domenicale. Mentre proseguiva la tradizionale attività cantieristica, nel 1927 si giunse alla prima realizzazione di un motoscafo Camugo. Dopo la seconda guerra mondiale, i Camuffo abbandonarono la costruzione delle barche da lavoro per dedicarsi esclusivamente alla realizzazione di imbarcazioni da diporto. La produzione del cantiere non è mai stata di serie, bensì il frutto di una continua evoluzione di prototipi sempre differenti l’uno dall’altro in funzione della lunghezza e della motorizzazione richiesta, per una perfetta ottimizzazione dei risultati, con il massimo comfort di bordo.
(estratto dal sito www.nautilus.it)
domenica 4 gennaio 2009
La sèima all'Agriturismo ai Trosi" di Redipuglia
Vignì a catarne marti sìe de zenar a le sìe sotosera ta'l Agriturismo ai Trosi par inpiar insema la Sèima e bèvar calche got in ligrìa e magnar le robe bone de la tera bisiaca!
“Vers al levante / recolta bondante; se sufia burin / poc pan e poc vin”
par informaziòn: www.aitrosi.it
Via S. Elia 90, Redipuglia (GO) tel. 347.3478918
(sto spazio al xe lìbaro e agratis par duti quei che i organiza anca altre sèime in Bisiacarìa: mandar le nutizie a ivanbisiac@gmail.com)
Seime, i fuochi dell'Epifania in Bisiacaria
Le Sèime, antica tradizione Bisiaca
a cura di Sergio Vittori
Quando le giornate sono corte e fredde, e la natura sembra oramai morta, nella serata del 5 gennaio si festeggia il solstizio d’inverno con l’accensione di grandi fuochi. Ma vediamo brevemente l’origine di questa antichissima consuetudine nei paesi bisiachi. Nel corso degli scavi eseguiti nel castelliere di Redipuglia intorno agli anni Trenta, furono rinvenuti sei bronzetti di figura umana stilizzata rappresentanti uomini e donne in atteggiamento di offerenti, databili tra il V e il IV secolo a.C.. Non si sa a quali divinità fossero dedicati, in quanto in questo periodo il castelliere di Redipuglia era abitato da una tribù di Eneti. Successivamente, con le invasioni celtiche, si ebbero i primi dèi pagani di cui ci è noto il nome. Giulio Cesare afferma chiaramente che i Celti erano molto religiosi: “Natio est omnis Gailorum admodum dedita religionibus” (trad.: ‘Tutta la popolazione gallica è molto dedita alle religioni”).
Il dio più ricorrente è Lug, con funzioni sacerdotali e militari, che i Romani equipararono a Mercurio; associati a questo dio c’erano gli dèi Dagda e Ogmios: Dagda rappresentava l’aspetto luminoso, mentre Ogmios era il dio che guidava le anime nell’Aldilà. Questa triade di dèi però trovò poco seguito nelle nostre popolazioni a differenza di un altro dio, chiamato Beleno, venerato soprattutto dai Norici (oggi Austria) e dagli Aquileiesi. Il dio Beleno è un dio solare, paragonabile ad Apollo; abbiamo traccia di questo dio già nel Il e I secolo a.C. sia a Zuglio, in Carnia, sia ad Aquiieia. A Fogliano, nei pressi del Borgo Cornat, e precisamente alla fine della vecchia strada che un tempo conduceva a Polazzo, proprio sotto l’antico castelliere cui il Marchesetti aveva dato il nome di “Castelliere di Polazzo”, esiste il “Sàs de San Bilin”. Questo è un grande masso a forma di testa umana, oggi purtroppo rovinato a seguito dei bombardamenti subiti nel primo conflitto mondiale.
Si tramanda a proposito una leggenda secondo la quale nei pressi dell’area del San Bilin, dalla notte dei tempi fino agli inizi di questo secolo, si davano convegno le streghe e i demoni per il sabba, riunione orgiastica presieduta da Satana, presente anche nelle saghe germaniche. Ma è più probabile che qui era situata un’antica ara dedicata al dio Beleno e ancora oggi il luogo viene ricordato con il nome di San Bilin. Dopo l’avvento del Cristianesimo, con il passare del tempo, il culto del dio Beleno fu assorbito da quello cristiano. Sappiamo infatti che due festività erano dedicate a questo dio: nella prima, quella cioè del solstizio estivo, venivano accesi dei falò propiziatori e, con l’avvento del Cristianesimo, tale festività venne dedicata a San Giovanni Battista, in quanto il battesimo era portatore di luce per la cristianità.
Nel territorio bisiaco abbiamo traccia di questa festività a Redipuglia dove, fino ai 1914, alla sera della vigilia del 24 giugno venivano accesi i “Fuochi di San Giovanni”. La seconda festività cadeva il sei gennaio, e anche nella vigilia di questa giornata si accendevano dei falò propiziatori dedicati al dio Beleno. Successivamente, con l’avvento del Cristianesimo, tale festività si trasformò in “Natale di Cristo” e più tardi, nel IV secolo d.C., papa San Giulio (anche se secondo alcuni studiosi fu il suo successore Liberio) fissò il Natale di Cristo al giorno 25 dicembre, data che era dedicata dai romani al “Natale del sole invitto”, quando si festeggiava il sole rinascente, vincitore delle tenebre. Il 6 gennaio venne istituita pertanto l’Epifania e i fuochi propiziatori, chiamati Seime, servivano dapprima a trarre gli auspici sull’annata agricola, come recita l’antica strofetta: “Vers al levante I recolta bondante; se sufia burin / poc pan e poc vin”; e poi, ad illuminare idealmente il cammino dei Re Magi.
Per rievocare questa antichissima usanza delle seime, gli abitanti di Sagrado, Redipuglia, Turriaco, Vermegliano, solo per citare alcuni paesi della Bisiacaria, nei giorni che precedono la serata del 5 gennaio si danno un gran daffare per procurare la legna e per costruire i falò epifanici e, come vuole la tradizione, sperando di intravedere poi tra il bagliore delle fiamme il volto del compagno e della compagna del cuore: il fuoco è infatti da sempre simbolo di vita. Vedere crescere pian piano la fiamma, osservare le lingue di fuoco mentre divorano le sterpaglie e le tamosse in un’atmosfera di gioia e di festa, invita ad essere spensierati e dimenticare le proprie preoccupazioni; tutto questo produce una sensazione bellissima di partecipazione, complicità e unione che, una volta provata, non si dimentica più e che dà la percezione di non essere più soli in questa nostra epoca, insidiata dal consumismo.
Da una cronaca scritta da un autore ignoto, siracconta come veniva accesa la seima a Fogliano, verso la seconda metà dell’Ottocento: “La vizilia dei Santi Tre Re, a la sera i contadini preparava al casel. I piantava in tera quatro o zinque pai e sora i meteva legni, paia e spini, par far una bela fiamada. Terminada de sonar l’Ave Maria, al paron e la parona de casa i inpizàva al casèl, e stava oservar se la fiama andava a levante o a ponente; se andava verso tramontana, iera malaugurio, se invesse andava verso siroco, iera bonaugurio. Terminada la fiamada, de una data distanza de le bronze i se inzenociava e i recitava al Rosario. Terminà de pregar, la parona, cun l’aqua santa tal’ aquasantin de teracota, andava pal toc de camp, dove iera stada la seima, a benidir e in sto tempo la recitava qualche preghiera e qualche invocazion, como par esempio: “Dio mande puteleti, Dio mande porzeleti, Dio mande un poc de tut”. Dopo tuti se ritirava a magnar la polenta.
Ancora oggi, a ricordo di questa bella edantichissima tradizione, nella serata del 5 gennaio, negli orti e in mezzo ai campi della Bisiacaria si accendono le seime: esse fanno a gara con la luna perdiradare le tenebre della natura, grandi e piccoli si incontrano e, tutti insieme, si stringono cantando in coro attorno ai falò; come tanti bambini chesi scaldano al tepore di una nuova vita nell’anno appena iniziato.
(Da "Lisonz" del Gen-2003, periodiico dell'Associazione Culturale Bisiaca)
a cura di Sergio Vittori
Quando le giornate sono corte e fredde, e la natura sembra oramai morta, nella serata del 5 gennaio si festeggia il solstizio d’inverno con l’accensione di grandi fuochi. Ma vediamo brevemente l’origine di questa antichissima consuetudine nei paesi bisiachi. Nel corso degli scavi eseguiti nel castelliere di Redipuglia intorno agli anni Trenta, furono rinvenuti sei bronzetti di figura umana stilizzata rappresentanti uomini e donne in atteggiamento di offerenti, databili tra il V e il IV secolo a.C.. Non si sa a quali divinità fossero dedicati, in quanto in questo periodo il castelliere di Redipuglia era abitato da una tribù di Eneti. Successivamente, con le invasioni celtiche, si ebbero i primi dèi pagani di cui ci è noto il nome. Giulio Cesare afferma chiaramente che i Celti erano molto religiosi: “Natio est omnis Gailorum admodum dedita religionibus” (trad.: ‘Tutta la popolazione gallica è molto dedita alle religioni”).
Il dio più ricorrente è Lug, con funzioni sacerdotali e militari, che i Romani equipararono a Mercurio; associati a questo dio c’erano gli dèi Dagda e Ogmios: Dagda rappresentava l’aspetto luminoso, mentre Ogmios era il dio che guidava le anime nell’Aldilà. Questa triade di dèi però trovò poco seguito nelle nostre popolazioni a differenza di un altro dio, chiamato Beleno, venerato soprattutto dai Norici (oggi Austria) e dagli Aquileiesi. Il dio Beleno è un dio solare, paragonabile ad Apollo; abbiamo traccia di questo dio già nel Il e I secolo a.C. sia a Zuglio, in Carnia, sia ad Aquiieia. A Fogliano, nei pressi del Borgo Cornat, e precisamente alla fine della vecchia strada che un tempo conduceva a Polazzo, proprio sotto l’antico castelliere cui il Marchesetti aveva dato il nome di “Castelliere di Polazzo”, esiste il “Sàs de San Bilin”. Questo è un grande masso a forma di testa umana, oggi purtroppo rovinato a seguito dei bombardamenti subiti nel primo conflitto mondiale.
Si tramanda a proposito una leggenda secondo la quale nei pressi dell’area del San Bilin, dalla notte dei tempi fino agli inizi di questo secolo, si davano convegno le streghe e i demoni per il sabba, riunione orgiastica presieduta da Satana, presente anche nelle saghe germaniche. Ma è più probabile che qui era situata un’antica ara dedicata al dio Beleno e ancora oggi il luogo viene ricordato con il nome di San Bilin. Dopo l’avvento del Cristianesimo, con il passare del tempo, il culto del dio Beleno fu assorbito da quello cristiano. Sappiamo infatti che due festività erano dedicate a questo dio: nella prima, quella cioè del solstizio estivo, venivano accesi dei falò propiziatori e, con l’avvento del Cristianesimo, tale festività venne dedicata a San Giovanni Battista, in quanto il battesimo era portatore di luce per la cristianità.
Nel territorio bisiaco abbiamo traccia di questa festività a Redipuglia dove, fino ai 1914, alla sera della vigilia del 24 giugno venivano accesi i “Fuochi di San Giovanni”. La seconda festività cadeva il sei gennaio, e anche nella vigilia di questa giornata si accendevano dei falò propiziatori dedicati al dio Beleno. Successivamente, con l’avvento del Cristianesimo, tale festività si trasformò in “Natale di Cristo” e più tardi, nel IV secolo d.C., papa San Giulio (anche se secondo alcuni studiosi fu il suo successore Liberio) fissò il Natale di Cristo al giorno 25 dicembre, data che era dedicata dai romani al “Natale del sole invitto”, quando si festeggiava il sole rinascente, vincitore delle tenebre. Il 6 gennaio venne istituita pertanto l’Epifania e i fuochi propiziatori, chiamati Seime, servivano dapprima a trarre gli auspici sull’annata agricola, come recita l’antica strofetta: “Vers al levante I recolta bondante; se sufia burin / poc pan e poc vin”; e poi, ad illuminare idealmente il cammino dei Re Magi.
Per rievocare questa antichissima usanza delle seime, gli abitanti di Sagrado, Redipuglia, Turriaco, Vermegliano, solo per citare alcuni paesi della Bisiacaria, nei giorni che precedono la serata del 5 gennaio si danno un gran daffare per procurare la legna e per costruire i falò epifanici e, come vuole la tradizione, sperando di intravedere poi tra il bagliore delle fiamme il volto del compagno e della compagna del cuore: il fuoco è infatti da sempre simbolo di vita. Vedere crescere pian piano la fiamma, osservare le lingue di fuoco mentre divorano le sterpaglie e le tamosse in un’atmosfera di gioia e di festa, invita ad essere spensierati e dimenticare le proprie preoccupazioni; tutto questo produce una sensazione bellissima di partecipazione, complicità e unione che, una volta provata, non si dimentica più e che dà la percezione di non essere più soli in questa nostra epoca, insidiata dal consumismo.
Da una cronaca scritta da un autore ignoto, siracconta come veniva accesa la seima a Fogliano, verso la seconda metà dell’Ottocento: “La vizilia dei Santi Tre Re, a la sera i contadini preparava al casel. I piantava in tera quatro o zinque pai e sora i meteva legni, paia e spini, par far una bela fiamada. Terminada de sonar l’Ave Maria, al paron e la parona de casa i inpizàva al casèl, e stava oservar se la fiama andava a levante o a ponente; se andava verso tramontana, iera malaugurio, se invesse andava verso siroco, iera bonaugurio. Terminada la fiamada, de una data distanza de le bronze i se inzenociava e i recitava al Rosario. Terminà de pregar, la parona, cun l’aqua santa tal’ aquasantin de teracota, andava pal toc de camp, dove iera stada la seima, a benidir e in sto tempo la recitava qualche preghiera e qualche invocazion, como par esempio: “Dio mande puteleti, Dio mande porzeleti, Dio mande un poc de tut”. Dopo tuti se ritirava a magnar la polenta.
Ancora oggi, a ricordo di questa bella edantichissima tradizione, nella serata del 5 gennaio, negli orti e in mezzo ai campi della Bisiacaria si accendono le seime: esse fanno a gara con la luna perdiradare le tenebre della natura, grandi e piccoli si incontrano e, tutti insieme, si stringono cantando in coro attorno ai falò; come tanti bambini chesi scaldano al tepore di una nuova vita nell’anno appena iniziato.
(Da "Lisonz" del Gen-2003, periodiico dell'Associazione Culturale Bisiaca)
sabato 3 gennaio 2009
Francesco Morena: un bisiaco star internazionale dell'architettura
FRANCESCO MORENA
"Monfalcone è in provincia di Shanghai"
di Enrico Arosio
Non è una star dell'architettura. Ma ha conquistato i cinesi. Per realizzare una new town da 100
mila abitanti
No, lui alla carica dei 500, i 500 imprenditori e operatori del made in Italy portati in Cina da Romano Prodi,
non ha partecipato. In quei giorni di settembre, mentre il presidente del Consiglio, quattro ministri e 12
delegazioni delle Regioni vorticavano tra Pechino e Shanghai tra centinaia di incontri bilaterali, lui,
l'architetto Francesco Morena se ne stava a Monfalcone provincia di Gorizia. A pensare a cosa? A Tong Li.
Alla città di Tong Li, una delle più antiche (tracce archeologiche di 5 mila anni fa) e più tutelate, patrimonio
Unesco dal 2000, a mezz'ora di strada da Shanghai; e anche alla Tong Li del futuro, alla new town da 100
mila abitanti da progettare e realizzare nei prossimi anni, chissà quanti.
È una nuova storia che arriva dal Nord-Est. L'avventura di un "architetto di provincia" (parole sue) che,
senza l'aiuto di Prodi, di Berlusconi, di un ministro, della Confindustria, dell'Ice, della Regione, di un
partito, di una lobby, ma solo grazie al suo lavoro e alle sue idee, ha trovato un Eldorado in Asia. Il salto di
qualità. L'occasione della vita.Chi è Francesco Morena architetto di provincia? È un professionista estraneo
allo star system italiano; fino a oggi: la sua presenza alla Biennale Architettura (con visita ed elogi del
presidente Davide Croff ) è anche la fine del suo anonimato. Il progetto Tong Li è una missione da far
tremare i polsi: piano completo di restauro per una delle più pregiate città storiche cinesi, una sorta di
piccola Venezia lacustre; master plan e progettazione della città nuova; elaborazione di una cintura
ecologica, basata su un modello di sostenibilità ambientale che qui è novità recente. Il tutto in società con
un collega cinese, anzi "un grande, vero amico", dice Morena mostrando una foto di loro due che discutono
con ampi gesti davanti a un porta di pietra di chissà quale dinastia. L'amico è Mi Qiu (leggi: Mi Ciu), artista
e architetto della generazione Tienanmen, una testa fine, un protagonista della intellighenzia under 50 di
Shanghai. Com'è successo tutto quanto?
Morena è di Monfalcone, città di cantieri, alle spalle il Carso, davanti il mare. Abita a Duino, sull'acqua, non
lontano dal castello dove soggiornò Rilke e che incantò i viaggiatori inglesi e danubiani. Ha cinquant'anni,
capelli corti, occhi chiari con un bagliore metallico. Indossa giacca nera gessata e T-shirt di Versace,
un'aria come da tedesco, cui si aggiunge una Porsche Carrera nera con interni in pelle color senape. A
Francoforte, guarda un po', ha lasciato una ex moglie tedesca, con figlio. La Porsche segnala i primi soldi
cinesi? Lui ridacchia, il suo nuovo studio a Monfalcone, 1.200 metri quadri in un edificio da lui progettato
con grandi vetrate accanto alla chiesa di Sant'Ambrogio, gli costerà oltre un milione 200 mila euro. Morena
ha una prima vita curiosa. Laureato a Venezia con Aldo Rossi, nei primi anni Ottanta era incerto se fare
l'architetto o mantenersi come pianista e cantante di blues con il suo gruppo Venice. "In Germania ho
suonato moltissimo, ma anche a Los Angeles, e funzionava, incidemmo anche qualcosa", racconta: "A
Francoforte era l'epoca del progetto 'Das neue neue Frankfurt', mi studiai bene, perché li vidi nascere, i
cantieri dei nuovi musei di Richard Meier e Hans Hollein. Aprii uno studio, lavorai due anni, poi rientrai in
Italia. Pensavo che sarei rimasto quel che mi sentivo: un architetto territoriale, che lavora a casa sua".
Si sbagliava. Cominciò con case, casette, negozi, villette. Poi condomini, alberghi, centri commerciali,
interni delle navi Fincantieri, poi gli shopping center di nuova generazione, quelli che hanno ricoperto di
'schei' tanti imprenditori nordestini. Infine il recupero di una grande area mineraria dismessa a
Bruxelles-sud, da trasformare in La Citadelle, quartiere multifunzionale con residenze, shopping, campi
sportivi e un po' di buchi dei mineurs come memoria e come attrazione.
"Ma qualcosa mi mancava. Sentivo che stavo cambiando: cercavo più qualità, più profondità, più senso",
racconta Morena mentre attacca uno scorfano al forno davanti al mare calmo di Duino: "Più che un
architetto mi pareva di essere un cameriere in un ristorante di lusso. Gli impresari pensavano al soldo. E
l'architettura era entrata in quest'era neobarocca, da fiera delle vanità, tecnologia esibita e
autocelebrazione. E io iniziavo a chiedermi: facciamo nuovi shopping center, ma noi cittadini viviamo
meglio? O siamo tutti omologati, un po' come l'effetto turbodiesel? Con le station-wagon che sgommano
ai semafori più di me in Porsche?".
ATTUALITÀ
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Nel 2004 arriva il fulmine. Parte dalla Svizzera, si scarica in Cina e illumina il suo vecchio studio a
Monfalcone. Una società di Lugano attiva con i developer cinesi, la Eurofinanziaria, invita Morena a tenere
una conferenza in un albergone di Shanghai sui rapporti tra la Cina e l'architettura europea. Morena non è
allenato: studia e si butta. L'intervento piace. Gli arriva un messaggio da un costruttore, Ma Xiao Ping:
vuole conoscerlo. Ne nasce l'incarico per un albergo di 500 camere, a forma di pesce, inclinato sul mare, e
altri edifici su un'isola di fronte a Shanghai collegata alla terraferma da un ponte di 32 chilometri.
"I rapporti di lavoro in Cina si consolidano in tempi lunghi", spiega Morena: "Se vuoi vendere il progettino e
far soldi al volo, è il posto sbagliato. Devi costruire l'amicizia, la fiducia. E direi anche lo scambio
spirituale. Con Ma si è parlato del rapporto fra terra e cielo, di orientamento Feng-Shui. Mai successo nulla
di simile con i miei clienti italiani". I cinesi lo stupiscono: "Per il loro narcisismo", dice. Ma è chiara la loro
ammirazione per la civiltà italiana, costruita sulle individualità, le soggettività, gli autori di grandi gesti.
Imprenditori cinesi gli presentano Mi Qiu, artista e architetto che dopo piazza Tienanmen era emigrato in
Svezia, Germania e Francia. Magro, simpatico, molto colto, capelli lunghi da rockstar. Diventano amici
parlando di tutto, di archeologia, filosofia, musica. "Notti intere a parlare, con una spontaneità come non
mi capitava da quando ero ragazzo". Mi Qiu lo introduce all'amministrazione di Tong Li, al governatore
della provincia. Tong Li, vecchia e nuova, è cosa loro. Il progetto riguarda 4 milioni di metri quadrati: sei
volte l'area di Milano-Bicocca. Da tre persone il suo studio è cresciuto a venti, dalla sera alla mattina.
I developer cinesi che avranno i terreni in concessione per 50 anni hanno partner finanziari svizzeri. Si
dovrà restituire, dopo i restauri, la città antica agli abitanti. Qui il turismo interno è cresciuto del 200 per
cento in pochi anni. Per ideare la città nuova, in una topografia complessa di laghi e di canali, tra boschi
intatti, luci azzurrine ma anche foschie e grigiori, bisogna creare team di specialisti: pianificatori,
paesaggisti, esperti di mobilità. "Faremo una squadra italiana", già Morena ha contattato il collega veneto
Aldo Cibic. Bisognerà valorizzare gli edifici rappresentativi sull'acqua, il municipio, il teatro, il centro
congressi, pensare ad alberghi, area business, zone residenziali: un'enormità. Il suo primo riferimento
europeo è lo sviluppo a mare di Barcellona. Funzionerà? Sul computer c'è una foto di lui con Mi Qiu in un
bosco insieme al governatore: "Romolo e Remo", sorride. Appare incredulo, e insieme adrenalinico. "In Cina
l'inizio è molto, molto lento. Ci vuole pazienza e anche modestia. Ma una volta partiti non ci si ferma più".
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